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Il COVID-19: un trauma collettivo


Partendo dalla riflessione maturata da Massimo Recalcati, il quale ha definito la condizione del Covid-19 come un trauma collettivo riguardante non soltanto il singolo individuo ma l’intera comunità, ritengo sia utile fare delle riflessioni. Esse intendono soffermarsi sulle caratteristiche principali di questo evento traumatico, su ciò che ha voluto insegnarci e soprattutto sul profondo cambiamento che ha prodotto relativo al concetto di “libertà”. Si tratta di un concetto che il Covid-19 ha permesso di rivedere, ridefinire e valorizzare rispetto a come era ormai da tempo considerato. Una delle più note caratteristiche del trauma è la sua imprevedibilità, nonché la sua ingovernabilità. Il trauma è considerato un evento inatteso, inaudito, non rappresentabile rispetto al quale l’essere umano si percepisce indifeso e impreparato, essendo sprovvisto inizialmente di difese per farvi fronte. Ciò che è accaduto è difatti un evento imprevedibile che ha sconvolto e perturbato il quadro ordinario della realtà, che ha condotto l’essere umano a modificare in maniera quasi violenta e improvvisa le sue abitudini di vita, la gestione del suo spazio e del suo tempo, limitandone la libertà. Un’altra caratteristica del trauma, su cui credo sia importante riflettere, è quella legata alla scossa profonda e irruenta che esso produce su ogni essere umano, obbligandolo a risvegliarsi dal sonno abitudinario in cui “riposava in pace”; un sonno legato allo scorrere ordinario del tempo, riempito dalla routine quotidiana e dalle proprie consuete abitudini, rispetto al quale l’uomo si adagia e per di più si abbandona. In quest’ottica, il trauma ci scuote dal sonno della realtà e ci obbliga al risveglio. Pertanto, Recalcati suggerisce l’utilità di evocare la figura dell’incubo: nell’incubo si ripresenta la stessa esperienza che facciamo nel trauma e, per giunta, la viviamo in maniera più intima. L’incubo, in quanto sogno la cui insopportabile violenza ci impone il risveglio, è del tutto equiparabile ad una esperienza traumatica. Allora l’arrivo impetuoso del Covid-19 cosa ci vuole insegnare? Per rispondere a questo interrogativo è opportuno considerare che, nelle esperienze traumatiche, è insito un enorme potenziale di crescita e di cambiamento. Il trauma, proprio come un terremoto, sconvolge e modifica le strutture schematiche che guidano i nostri processi di apprendimento e la capacità di prendere decisioni. In questo senso, il trauma rappresenta un’opportunità di crescita e di cambiamento. In particolare, il Covid-19 impone una modifica nel nostro stile di vita, da anni ormai totalmente intriso di una cultura occidentale basata sull’ "iperattivismo collettivo; una cultura immersa nel consumo e nella ricerca illimitata degli oggetti, nella quale il concetto di libertà individuale si è incentrato sulla sola possibilità di consumare questi oggetti. In altre parole, per anni siamo stati i protagonisti di un mondo guidato dalla logica del profitto e del consumo, da un frenetico iperattivismo che ha reciso la capacità dell’essere umano di poter contattare la sua interiorità ricolma di conflitti, complessi, fissazioni e regressioni, ma anche di spinte evolutive e possibilità elaborative. Il Covid-19 ci ha costretti alla sconnessione, alla pausa, alla solitudine e ad entrare in una dimensione tanto rifuggita da diventare sconosciuta: è la dimensione del silenzio e della meditazione che ci costringe a fare i conti con noi stessi. Un ultimo elemento, forse il più importante, su cui riporre attenzione è il concetto di libertà, un concetto che il virus ci sta permettendo pian piano di ridefinire e di rivalorizzare, restituendo ad esso il suo valore originario. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una degenerazione del concetto di libertà il quale è stato totalmente scollato dal concetto di eguaglianza, di fraternità ed è diventato un concetto di libertà assoluto; una forma caricaturale della libertà intesa come libero arbitrio, come possibilità di trasgredire la legge; libertà individuale di fare quello che si vuole. Tutto ciò ha portato a definire un concetto di libertà intesa come pura liberazione del proprio Io a discapito dell’altro. Il Covid-19 ci offre la possibilità di ridefinire un’altra forma di libertà che è stata smarrita e che l’isolamento, la limitazione della libertà stessa e le rinunce imposte dai decreti ci invitano a ricontattare; una libertà che non si limita a coincidere con la manifestazione arbitraria del proprio Io. Piuttosto, questa libertà vede da un lato come suo presupposto la solitudine dell’uomo, l’isolamento sociale e la separatezza dalla comunità ma, dall’altro lato, si riappropria dei suoi elementi fondanti di solidarietà e fratellanza che sono stati stroncati da una cultura individualista, improntata sul profitto e sulla competitività. Il Covid-19 ci insegna qualcosa che avevamo da tempo dimenticato, ci insegna l’importanza della solidarietà e della fratellanza. Mentre ognuno di noi è recluso nella sua casa, nella sua stanza è al tempo stesso immerso in una nuova socialità perché dalla condizione di rimanere a casa del singolo dipende la condizione dell’intera comunità. Ed è in questo modo che la lettura individualista della libertà viene meno e che il virus può lasciarci in dono un’ereditarietà che, si spera, non rimuoveremo con tanta facilità. Dott.ssa Celeste Loglisci

 
 
 

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